Chiesa ed ospedale dei Santi Pietro, Paolo ed Antonio Abate

Nonostante una tradizione locale poggiante sulle memorie del duecentesco notaio Ottobono, voglia la chiesa di San Pietro (così la si chiamerà utilizzando l'intitolazione con cui è oggi nota) poggiare sulle fondazioni di un tempietto romano dedicato a Giove e nonostante un'altra la voglia terminale di un cunicolo muovente dal castello, solo nel 1355 si ha la prima notizia certa dell'esistenza di un "hospitale" allora governato da quella fraterna, quasi di certo dei Battuti, che s'è vista cooperare alla ricostruzione della vicina chiesa di S. Giovanni e S. Maria. Un'informazione che è già molto perchè, senza negare una possibile data di nascita anteriore (anche, forse di molto rispetto al 1355 che consente di inserire quest'esperienza assistenziale valvasonese in una rosa di episodi similari più o meno coevi attestati ad esempio in San Vito, Pordenone, Spilimbergo, Sacile, Porcia, lascia aperta una serie non indifferente di interrogativi: dove era situato quest'"hospitale"? Quali le finalità dell'istituzione? Quale la fisionomia architettonica? Quali le modalità gestionali?
Se a tutti i quesiti non c'è spazio qui per rispondere, basterà osservare che si trovava quel trecentesco "hospitale", con annessa cappella della fraterna, esattamente ove è ora posizionata la chiesa di San Pietro siccome paiono garantire e la presenza sulle pareti interne del sacello di una Crocifissione, accompagnata dai Ss. Pietro e Paolo, e la contiguità al segmento urbano della strada che muovendo, per non andare tanto più in là, da Pordenone - Zoppola arrivava ai guadi del Tagliamento in direzione di Sedegliano e Codroipo.
Nel corso del Quattrocento la fraterna attraversò un periodo di vita travagliato tale da condurla alla quasi estinzione con il pericolo di veder conseguentemente sparire l'iniziativa assistenziale che essa gestiva. Per cui nel 1461, ad opera di un gruppo di cittadini del luogo, essa venne ricostituita sotto l'intitolazione dei Ss. Pietro, Paolo ed Antonio Abate con una riaffermata finalità caritativa. Concreta dimostrazione della ritrovata vitalità fu il rimaneggiamento della originaria "capella" - sede della fraterna stessa e dell'annesso "hospitale" - sulla base di un progetto che prevedeva la fusione degli antichi due locali in un unico vano, illuminato da lunghe monofore centinate, e la costruzione o l'adattamento ad "hospitale" di un ambiente posto a fianco della "capella" verso meridione. A rendere più splendida la "capella" consacrata nel 1497, ornata di tre altari, nella prima decade del Cinquecento si ordinò a Pietro da Vicenza di allietarne le pareti con una serie di affreschi devozionali e di fornire anche una pala per l'altar maggiore, nel mentre, già sulla fine del secolo precedente, s'era commesso ad un artista per noi anonimo l'intaglio di un polittico comprendente, con le figure (conservatesi) dei Ss. Paolo ed Antonio Abate, senza dubbio anche un (perduto) S. Pietro.
A proposito delle finalità cui l'istituto era destinato anche senza voler sottolineare come esse fossero già esplicitate nell'etimologia stessa del termine "hospitale", si potranno anticipare di un secolo quelle che nel Quattrocento risultano esplicitatamente dichiarate: dar ricetto a viandanti e pellegrini ed offrire ricovero e cura ai poveri del luogo privi di ogni altro aiuto da parte del parentado. A proposito invece della possibile fisionomia architettonica dell'"hospitale" sembra non si dovrebbe andare molto lontano dal vero nell'immaginare un edificio costituito da due vani contigui di cui quello affacciante si sull'attuale via San Pietro adibito a funzioni di ricovero mentre l'altro, posteriore, destinato ad accogliere le riunioni, per deliberazioni e preghiere, della fraterna gestrice dell'istituto. La quale doveva provvedere al governo del suo "hospitale" secondo la prassi che la documentazione quattro - ottocentesca consentirà di accertare con sicurezza: delega, per le esigenze spirituali degli ospitati, al cappellano della fraterna; incarico per le pulizie, la preparazione del vitto, la provvista e la somministrazione dei medicinali, il riscaldamento e l'illuminazione ad un priore, assistito dalla rispettiva moglie, chiamato a sostituire in tutte queste incombenze i confratelli nei quali l'entusiasmo caritativo forse, dopo i primi iniziali fervori, venne ad intiepidirsi; affidamento a due camerari, eletti dal Consiglio della fraterna, di amministrare le rendite dell'"hospitale" con obbligo di resa di conto allo scadere del mandato di durata annuale.
Tra il 1739 e il 1760 la cappella, sempre ad opera della fraterna, venne sottoposta ad ulteriore rimaneggiamento che comportò un innalzamento dei muri perimetrali della navata e del presbiterio, vano quest'ultimo che fu pure soffittato, l'apertura di nuove finestre, la costruzione di un nuovo altar maggiore dotato di acconcia pala, il ricavo nella navata delle due cappelline laterali per ospitare gli altari, sulla destra quello della Visitazione ed a sinistra l'altro dedicato ai Ss. Valentino ed Urbano, la collocazione a ridosso della controfacciata di una cantoria entro cui sistemare un seicentesco organo positivo, l'ampliamento della sacre stia che funzionava allora anche da archivio della fraterna. N el 1806 N apoleone sopprimeva la fraterna ma, nonostante corressero anni davvero difficili per il piccolo istituto che si vedeva spogliato di una parte notevole dei propri beni, l'"hospitale" continuò la propria attività sotto il governo di una Congregazione di Carità comunale subentrata all' estinto sodalizio.
Se gli inizi del corrente secolo hanno visto cessare ogni servizio di carattere assistenziale e sanitario e la conseguente trasformazione dei locali già adibiti a scopi ospitalieri in abitazione privata, a ricordare una gloriosa tradizione a beneficio di chi si trovava nel bisogno o nella sofferenza oggi rimane la chiesa, recuperata nel 1991 da un restauro esemplare per la possibilità offerta di leggere sul monumento le diverse fasi della sua lunga esistenza e le variazioni subite nel corso dei secoli.


Fabio Metz (da Valvasone, Guida all'incontro)

La pianta

Le opere